Il tesoro sporco di Maduro: oro giallo, oro nero e cocaina al servizio del regime

Un Popolo che muore mentre i potenti navigano nel lusso. In Venezuela il confine tra Stato e crimine organizzato non è più solo sottile: è completamente scomparso

Da anni le inchieste internazionali e le testimonianze interne descrivono un sistema di potere che vive e prospera grazie al traffico di droga, all’estrazione illegale dell’oro e a una rete di corruzione diffusa che coinvolge militari, politici e imprenditori vicini al regime di Nicolás Maduro.
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Il Venezuela è una piattaforma di transito per la cocaina – prodotta in Colombia – e destinata ai mercati di Stati Uniti, Europa e Africa. Non si tratta di un traffico tollerato, ma di un business controllato e gestito da figure dello Stato.

Il cosiddetto “Cartel de los Soles” — una rete composta da ufficiali delle forze armate e membri della Guardia Nazionale — è da tempo accusato di dirigere spedizioni di tonnellate di cocaina, sfruttando basi militari, porti e aeroporti sotto controllo governativo. Gli Stati Uniti hanno formalmente incriminato Maduro e diversi alti funzionari per narcotraffico e “narco-terrorismo”, offrendo ricompense milionarie per la loro cattura.

L’ONG Transparencia Venezuela ha stimato che nel 2024 il traffico di droga abbia generato oltre otto miliardi di dollari, una cifra enorme per un Paese in rovina economica.
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Ma la droga è solo una parte del mosaico. L’altra è l’oro. Da anni il sud del Paese, in particolare lo stato di Bolívar, è teatro di una corsa all’estrazione mineraria senza controllo. Secondo la FACT Coalition, oltre l’86% dell’oro venezuelano è estratto illegalmente.

Le miniere sono presidiate da milizie, gruppi armati e soldati, che impongono tasse, sfruttano i minatori e riciclano i metalli preziosi attraverso una fitta rete di contrabbando. Gran parte dell’oro lascia il Paese passando per canali opachi: attraversa frontiere porose, arriva in Paesi terzi dove viene “ripulito” e immesso nei mercati globali con documenti falsi o società di copertura.
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Dietro questa economia dell’illegalità si muovono interessi enormi. Le miniere illegali devastano foreste, contaminano fiumi con il mercurio e distruggono intere comunità indigene, ma garantiscono al regime liquidità immediata.

Anche il petrolio, storicamente la principale risorsa del Venezuela, è un altro pilastro attraverso cui il regime di Maduro alimenta la sua macchina di potere. Gran parte della produzione viene venduta al di fuori dei canali ufficiali, tramite accordi opachi con intermediari e compagnie estere disposte a pagare in contanti o in beni di scambio, spesso aggirando le sanzioni internazionali.

Questi introiti alimentano direttamente il tesoro del regime, consentendo di pagare funzionari, militari e milizie fedeli, finanziare campagne politiche e mantenere il controllo sociale.

Le stesse famiglie vicine a Maduro, come quella della first lady Cilia Flores, sono state coinvolte in scandali clamorosi: due nipoti della coppia presidenziale sono stati condannati negli Stati Uniti per traffico di droga, dopo essere stati arrestati con prove inconfutabili.
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Il risultato è un’economia parallela che vale oggi una parte consistente del PIL venezuelano. Non più uno Stato infiltrato dal crimine, ma uno Stato che usa il crimine come strumento di sopravvivenza.

In un Paese dove milioni di cittadini non hanno accesso a beni di prima necessità e oltre otto milioni di persone sono emigrate negli ultimi anni, le élite del potere vivono nel lusso, circondate da sicurezza privata, auto blindate e conti in dollari.

E finché l’oro giallo e quello nero continueranno a uscire dal sottosuolo e la cocaina continuerà a volare dai suoi aeroporti militari, il regime avrà le risorse per sopravvivere, mentre il popolo continuerà a pagare, ogni giorno, il prezzo della fame, della fuga e della paura.

Leonardo Alfatti Appetiti

Leonardo Alfatti Appetiti

Classe 97, giornalista pubblicista, innamorato di un Paese che probabilmente non potrà mai visitare, odia chi scrive di sé in terza persona.