Italiani in Venezuela: tre storie di emigranti coraggiosi

Gli italiani in Venezuela hanno lasciato un segno di cui noi in Italia non siamo ancora consapevoli. Oltre ai casi forse più noti di italianismi e cucina, l’immigrazione italiana ha rivoluzionato dalle fondamenta la società venezuelana. Uso il termine “fondamenta” non a caso. Basterà fare una breve ricerca sul web o chiedere a un venezuelano di una certa età per sentirsi dire che gli italiani hanno tirato su di tutto in Venezuela (dalle casette storte fino all’autopista di Caracas e al Ponte di Maracaibo).

Ma hanno anche portato la piccola e media impresa, hanno ricoperto posizioni di potere, hanno fatto la storia del calcio locale, hanno mostrato agli altri come si fanno gli affari, hanno sfidato e difeso la loro identità. È davvero incredibile come non si parli mai degli italiani in Venezuela. (Anche perché toccarono quasi il milione negli anni 80 e sono ancora oggi oltre 100’000!) Ci proviamo oggi partendo da 3 storie di Emigranti Italiani in Venezuela che solo in un Paese come questo potevano mai accadere.

Francesca Miranda

Ci vuole coraggio, a soli 21 anni, per lasciare la famiglia e cavarsela da sola, in un’Italia in piena guerra mondiale, alla caccia di qualche soldo per rifarsi una vita. E ce ne vuole ancora di più, 5 anni dopo, a lasciare Torino per partire alla volta del Venezuela senza un piano in mente.

Francesca Miranda, nel 1948, è fidanzata con un ricco medico che la ama, tale Andrea, ha un fratello e una sorella che sono la sua vita e una madre ormai imbancata, trascurata e dai capelli non più biondi, distrutta dopo la fuga della figlia. Francesca capisce che nell’Italia del dopoguerra non c’è futuro per una ragazza senza mezzi e senza una professione.Francesca Miranda - Il mio Venezuela

“Volevo scappare non solo da Andrea, ma dal condizionamento e dal peso di un’infanzia e di una prima gioventù così infelici. Volevo lasciare dietro di meno tutto il sofferto”. (Il padre non tornò dalla famiglia dopo la guerra e la giovane Francesca diede colpa all’atteggiamento severo e intransigente della madre)

La destinazione più ovvia sembra l’Argentina, ma un prete salesiano le consiglia il meno inflazionato Venezuela: “Terra del futuro, in quanto possedeva molto petrolio ed era un Paese tutto da costruire“. Appena arrivata a Caracas vende un orologio per una camera in un piccolo hotel e si mette alla ricerca di un contatto dell’amico prete salesiano. La storia completa è raccontata da lei stessa nell’autobiografia “Il mio Venezuela” e si può riassumere come segue.

Da Caracas a Maracaibo, da Barquisimeto a Puerto La Cruz, Miranda si dedica ad attività di ogni tipo nel suo folle “sogno sud-americano”. Si occupa di commercio di abiti e diamanti grezzi, gestisce un ristorantino sul mare e una fabbrica di materiale plastico. In una città come la Caracas degli anni 50, in cui cinesi, arabi, tedeschi, siriani e italiani sono alla ricerca di gloria, la storia di Francesca è la storia stessa del Venezuela della seconda metà del XX secolo.

Pompeo D’Ambrosio

Nato a Campagna, paesino in provincia di Salerno, nel 1917, Pompeo D’Ambrosio fu nipote del podestà cittadino che aiutò gli ebrei ricercati. Verso la fine degli anni Trenta, studiò “Amministrazione delle Colonie italiane” all’Università di Napoli e prestò servizio come tenente dell’Esercito Italiano in Africa del nord, dove fu ferito e fatto prigioniero di guerra nella battaglia di El Alamein, ricevendo una medaglia al valor militare.Pompeo D'Ambrosio con la figlia

D’Ambrosio era un uomo molto ambizioso e determinato. Nel 1951 si trasferì a Caracas, capitale del Venezuela, dove cominciò a lavorare nella dirigenza del Banco Francés e Italiano (denominato successivamente Banco Latino). Finanzia la comunità italiana di Caracas e Maracaibo e da preziosi consigli alle aziende di italo-venezuelani.

Nel 1958, insieme al fratello Mino, amministrò le finanze del Deportivo Italia, la leggendaria squadra di immigrati italiani che ha fatto la storia del calcio venezuelano, vincendo numerosi trofei in Patria e battendo il terribile Fluminense niente meno che al Maracanã.

Pompeo D’Ambrosio fu anche cofondatore della Casa de Italia e del Centro Italo-Venezolano di Caracas. In seguito, si trovò a combattere la corrotta amministrazione del presidente del Banco Latino, Pedro Tinoco e il suo gruppo chiamato “Dodici Apostoli”. È morto a Caracas il 15 aprile del 1998 ed è ancora oggi ricordato come uno dei massimi difensori degli italiani in Venezuela.

Gaetano Bafile

Il mondo è pieno di abruzzesi che hanno fatto fortuna all’estero, ma lui è il conterraneo preferito in assoluto, un eroe. Gaetano Bafile nasce a L’Aquila nel 1924 e subito dopo gli studi in Giornalismo inizia a lavorare per il Messaggero. Arriva a Caracas nel 1949 quasi per caso: riceve un viaggio premio per i servizi realizzati sulla rinascita del sud dopo la guerra. Sbarca nel Nuovo Mondo e lo trova ricco di vita e opportunità. Non vuole più ripartire.Gaetano Bafile con la figlia Marzia

Si accorge subito di una cosa: manca un giornale per gli emigranti italiani. Passano pochi anni e nel 1952 fonda La Voce d’Italia, giornale in lingua italiana che dirigerà per oltre 50 anni. Mezzo secolo al servizio della comunità italiana in Venezuela, sempre con passione, amore e, quando necessario, severità. Non a caso è ancora oggi il giornale in lingua italiana più importante di tutto il Sudamerica.

Bafile è stato un punto di riferimento per la comunità italiana in Venezuela. Come lui stesso spiegò: “Il nostro giornale porta avanti una campagna sostenendo fortemente che non dobbiamo creare dei ghetti con il pretesto dell’italianità, né farci assorbire. Noi ci dobbiamo integrare, perché abbiamo un patrimonio da dare al Paese che ci accoglie, in cambio della sua ospitalità.”

Il suo spirito di comunità gli valse anche l’Orden del Libertador, la più alta onorificenza del Venezuela, di cui Bafile è stato il primo italiano ad esserne insignito.

Bafile è stato soprattutto un uomo coraggioso, che già in Italia rischiò l’impiccagione per l’attività da partigiano e che non fu da meno in Venezuela a causa delle sue inchieste (a difesa degli italiani) contro la dittatura di Perez Jimenez. Insomma “un giornalista che camminava sulla dinamite“, come raccontano magistralmente su Abruzzo24ore. Riporto qui sotto un breve botta e risposta per dare un’idea più chiara della sua caratura.

Che cosa l’ha portata dall’Abruzzo al Venezuela?

Ho sempre sentito il bisogno di spazio. Fin da ragazzo, quando salivo in montagna. E sono stato anche un grande lettore dei romanzi di Salgari…

Ma Salgari scriveva senza avere mai visto i luoghi in cui ambientava i suoi libri…

Io invece ne ho visti di posti. Ma la cosa più importante è che mi sono avvicinato agli emigranti. Il giornale è nato per loro.

Leonardo Alfatti Appetiti

Leonardo Alfatti Appetiti