La chef Rita Monastero non ha bisogno di troppe presentazioni. Da anni ci insegna il meglio della cucina italiana, scrive libri di ricette che fanno scuola e la vediamo ogni settimana nelle trasmissioni mattutine di Rai1. La chef salentina è però soprattutto un’ambasciatrice della Cucina Italiana nel mondo; non fa quasi in tempo a tornare dalla Semana de la Cocina Italiana a Caracas (13-26 novembre) che subito deve ripartire alla volta di Washington per portare i nostri sapori anche nell’America del Nord. È in questo breve momento di pausa che riusciamo a farle qualche domanda sulla sua esperienza in Venezuela, di cui la chef sente già la nostalgia!
Chef, cosa significa per lei essere Ambasciatrice della Cucina Italiana nel Mondo?
È una cosa che amo moltissimo, che fortunatamente riesco a replicare ogni anno grazie agli istituti di cultura. Quando viaggio e porto la nostra cucina fuori dai confini nazionali mi rendo conto di quanto l’Italia sia apprezzata all’estero. A volte noi in Italia non ci stimiamo e non ci amiamo come dovremmo. Invece vedo che all’estero siamo assolutamente considerati, per lo meno per quanto riguarda il mio ambito professionale. La cucina italiana è nel cuore delle persone e a me dà molta gioia portare il mio know-how e insegnare le mie ricette professionale ai colleghi stranieri, così che possano replicarle senza doverle stravolgere. Sai, a volte le ricette della cucina italiana all’estero sono un po’ localizzate, un po’ troppo, cambiano proprio i connotati. Invece a me piace tanto insegnare i nostri piatti alla maniera classica e vedere che c’è riscontro dall’altra parte.
Non a caso lei è autrice de “I dolci dimenticati” e “I piatti dimenticati”…
Io penso, e forse dipende dalla mia età (ride), che nessuno di noi, cuochi o chef, inventi niente oggigiorno, noi tutti trasformiamo delle ricette. Ci sono delle ricette codificate su cui lavoriamo per renderle adatte ai tempi moderni in termini di calorie e gusto. Modifichiamo ad esempio le tecniche di cottura, magari modifichiamo alcuni ingredienti, ma noi non inventiamo nulla di nuovo. Noi trasformiamo. In quest’ottica credo che si debba rispettare fortemente la tradizione, quello che altri prima di noi hanno fatto e ci hanno lasciato. Se ricordiamo il passato possiamo evolvere bene, ma se invece tagliamo i ponti con la nostra storia perdiamo tutto il nostro bagaglio gastronomico, rimarremmo senza anima.
Prima volta in Venezuela e a Caracas, che impressione ha avuto?
Ho l’avuto l’impressione di una città molto complessa, complessa per quanto riguarda la popolazione, gli strati sociali, e anche proprio la struttura della città. È una città cosmopolita, ho visto queste strade larghissime che noi in Italia non abbiamo, quasi delle superstrade tra i vari quartieri che mi hanno colpita molto. Naturalmente quello che poi mi è rimasto più impresso è il carattere delle persone. Loro sono molto simili a noi. Io penso che venezuelani e italiani condividano molto, a partire dal cibo. A tavola noi mangiamo tanto, loro mangiano tanto. I pasti dei venezuelani sono importanti e ricchi esattamente come i nostri. Ho avuto un’impressione positivissima.
I venezuelani amano la cucina italiana?
I venezuelani amano molto la loro cucina e questa è una cosa bellissima perché bisogna amare la propria terra e le proprie radici. Ma per quanto ho avuto modo di vedere, i venezuelani apprezzano molto anche la cucina del nostro Paese; anche a Caracas ci sono numerosi negozi specializzati, in cui ho avuto la fortuna di recarmi, che vendono esclusivamente prodotti italiani di altissima qualità. Questo è sintomo di un grandissimo interesse verso la nostra gastronomia.
Come funziona l’organizzazione di un evento così complesso?
Ovviamente quando noi chef partiamo dall’Italia e viaggiamo con la rete MAECI definiamo prima tutto il programma del nostro lavoro, che si inizia a sviluppare con diversi mesi d’anticipo, per poi diventare frenetico quando l’arrivo nel Paese di destinazione è imminente. Vengono anche fatte richieste specifiche, a Caracas mi hanno chiesto di lavorare sulla panificazione, sul pane italiano, perché mi hanno detto che c’è molto interesse. Ma questa è una cosa che riscontro ovunque vado, il pane e la pasta sono materie che mi chiedono spessissimo. Poi ho carta bianca sulle lezioni, decido io le ricette da insegnare e mando tutta la lista degli ingredienti, italiani, che mi vengono reperiti.
Come vedi c’è un lavoro immane dietro, c’è un circuito enorme di persone che collaborano per sviluppare il programma nel migliore dei modi, non fosse altro per procurare tutti gli ingredienti che ci servono, che sono veramente tanti. Nelle due settimane in Venezuela ho avuto il piacere di fare 3 masterclass con i ragazzi dell’Istituto Mariano Moreno, una scuola di qualità veramente eccellente che ringrazio per avermi accolta.
Cosa le premeva lasciare agli studenti dell’Istituto?
La parola d’ordine è cultura: quello che noi vogliamo lasciare in ogni viaggio è la cultura italiana del cibo, a noi non interessa lasciare solo una ricetta (le ricette si trovano anche online e se sei del settore non hai bisogno di altro!) È quello che c’è dietro la ricetta, la cultura gastronomica del nostro Paese, che è la vera ricchezza da esportare alle persone in giro per il mondo. Tutto quello che c’è dietro ai piatti, il loro significato. Esportare la convivialità, il nostro modo di vivere il cibo e di essere italiani, di essere caldi nei rapporti. Io lì ho fatto amicizia con tante persone, venezuelani e italo-venezuelani, e sentivo di conoscerle da sempre perché condividiamo davvero tante cose.
Un incontro che ricorderà a lungo?
Ti posso dire che ho lasciato tutti piangendo. Ho abbracciato tutte le persone con cui ho lavorato, i collaboratori in cucina, l’autista che mi ha portato in giro, i miei colleghi chef, li ho abbracciati uno per uno piangendo e dicendo “Non voglio andare via“. Questo sentimento era tanto ricambiato che dopo pochi giorni dal mio arrivo, i colleghi di Veneziano Gourmet, Matilde Veneziano e il suo socio Maurilio, mi hanno fatto una sorpresa. Avevamo finito di preparare i piatti e mi stavo preparando per andare via quando casualmente ho messo le mani nella borsa e ho trovato un pacchettino che loro avevano nascosto e che avrei dovuto trovare solo a casa. Mi hanno regalato una bellissima tazza di latta bianca smaltata con sopra scritto “non te ne andare“. Io mi sono messa a piangere, loro pure.
Però perché ti dico questo? Perché questo aneddoto rende l’idea veramente di quanto affetto ci sia stato e ci sia ancora tra di noi, ci scambiamo il buongiorno e la buonanotte ogni giorno da quando sono tornata e so che non ci perderemo più. Questa per me è Caracas, la Caracas che ho nel cuore, quella che conto di ritrovare. Sia per lavoro o per turismo, io tornerò e rivedrò queste persone, ne sono certa.
A Caracas ha ritrovato anche il suo Salento…
Sì, quando sono partita per Caracas ho postato la notizia sui social e una signora mi ha scritto “Guarda, c’è mio figlio lì in ambasciata a Caracas, salutamelo” e io ho detto “Certo!” Però sai, con tutta la confusione che c’era ho pensato che forse non ci sarei riuscita. E invece dopo qualche ora, Andrea Baldi, il Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura, colui che mi ha portata a Caracas, mi fa “Sai Rita, c’è un carabiniere in Ambasciata che ti conosce, conosce la tua famiglia” E io a quel punto ho pensato “Il mondo è veramente una briciola!” e ho incontrato questo ragazzo, Salvatore. È stato incredibile che siamo dello stesso paese (Matino, comune salentino di 10mila abitanti) e non ci siamo mai visti. Sua mamma conosce la farmacia della mia famiglia, ma non è solo una cliente, è molto affezionata a tutti noi. Vedi il mondo quanto è piccolo…
La chef si trova ora in missione negli Stati Uniti e continua a portare la cucina italiana nel mondo! Per restare aggiornati sulla sua attività (e per non perdere i meravigliosi post che è solita pubblicare), seguitela sulla pagina Facebook LovelyCheffa. A presto!